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Agostino Perrini

Segno e frammenti di poesia.

Esiste un amatore di musica che, conoscendo i rapporti intelligibili d’armonia, non provi emozione
ascoltando un accordo di suoni?
Esiste un geometra o un matematico che, conscendo i rapporti, le proporzioni e l’ordine, non si compiaccia
di vederli realizzati?
Ecco un quadro: non si guarda nella stessa maniera e non si vedono le stesse cose, quando lo si guarda
con gli occhi, e quando invece vi si riconosce l’immagine calata nel sensibile di un essere che vive nella
sfera intellettuale; quale turbamento nel momento in cui ci si ricorda della vera realtà! Da questo nasce
l’amore. Ci sono persone che, vedendo l’immagine della bellezza su di un viso, sono trasportate nella sfera
intellettuale, altre che hanno un pensiero troppo pigro e nulla le commuove; inutilmente esse guardano tutte
le bellezze del mondo sensibile, le sue proporzioni, la sua regolarità, e lo spettacolo che offrono gli astri
malgrado la loro distanza; essi non penseranno mai a dire, presi da un religioso rispetto: “Come è bello! E da
quale Bellezza deve venire questa bellezza”.
La verità è che essi non hanno né compreso le cose sensibili, né visto gli esseri intellettuali.
Plotino, <<Enneadi>>, (II,9,16)
La mostra antologica presentata alla Fondazione Vittorio Leonesio ospita una selezione di
opere che, oltre a testimoniare le origini della ricerca artistica di Agostino Perrini,
raccontano i suoi molteplici percorsi degli ultimi anni di attività, prima della prematura
scomparsa.
L’artista bresciano, diplomatosi all’Accademia di belle Arti di Venezia con Edmondo Bacci,
rielabora nelle sue opere degli anni Settanta, la grande lezione dei maestri veneziani, e
non solo, del dopoguerra: l’uso di un segno forte, potente, figlio di un gesto pittorico sicuro,
accompagnato da contrasti cromatici decisi, netti e a tratti materici delle campiture. Tutti
aspetti ben presto rielaborati attraverso una riflessione originale e intima che rende le
opere successive riconoscibili al primo sguardo. Nei dipinti di Perrini vi è una pluralità di
elementi che rendono articolata un’analisi dell’opera. Certamente vi si trova la costante del
colore, (cromature accese e forti contrasti) protagonista indiscusso e totalizzante dello
spazio/quadro, sul quale si esplicita la presenza di un segno a suo modo descrittivo, che ci
conduce e ci mostra paesaggi e luoghi stranianti come ne L’iceberg per tropici o Via verso
il nulla o ancora Cavità di silenzi. Qui il mondo interiore, la dimensione del singolo nella
sua limitatezza e solitudine si incontra con i vasti spazi della mente, per esplorare, come in
un viaggio, luoghi indefiniti, sconosciuti e irraggiungibili. L’artista sta lì, osserva questi
spazi, lascia una traccia più o meno leggibile della sua presenza attraverso un altro
elemento: la parola. Inserisce i titoli delle opere attraverso una grafia scarna, quasi incisa,
scavata, che si fa scrittura, che si fa poesia. La parola ha uno spazio preciso nel quadro,
la calligrafia “soggettiva” è fatta per essere letta da chi l’ha scritta e chi la scrive sembra
voglia solo mostrarla più che farla leggere. La parola perde il “suono” e si fa “immagine”.
La parola rivela i sentimenti, i turbamenti, le angosce e le paure proprie dell’animo umano
che Agostino ci mostra nella loro essenza pura e spogliata da sovrastrutture. Il segno e la
parola si trasformano in percezioni formali. Parola scorticata è il titolo emblema di questo
processo che vuole ricercare il nucleo, arrivare alla radice, per raggiungere un luogo
“universale”, sovrapersonale, intersoggettivo: il luogo proprio della poesia. Ma il segno di
Perrini è anche carico di vita, è lo strumento per rappresentare la natura in tutta la sua
potenza come nell’opera In punta di narciso: il fiore, protagonista assoluto, sembra “erutti”
del colore, come se simbolicamente l’arte stessa fosse generata dalla natura, come se
l’arte fosse contenuta nella natura. Natura che torna anche nella serie delle 15 carte
dell’Erbario. Posizionate a griglia in maniera rigorosa all’interno della grande sala di
Leonesia, lo spazio ne amplifica la potenza evocativa ma anche la delicatezza e la
raffinata armonia estetica. Si tratta di carte di cotone, carte fatte a mano che ospitano
svariati elementi vegetali: piccoli fiori secchi, erbe, rametti di legno, radici, spago, spine,
foglie multiforme che talvolta vengono inseriti nello spessore del materiale stesso creando
una velatura che ne sottende la presenza, talvolta, al contrario, ne accentuano la
tridimensionalità attraverso l’applicazione della materia. In queste carte Perrini non
rinuncia a nulla: troviamo i colori, le tracce di colature che i vegetali hanno lasciato,
bruciature, troviamo il disegno che completa le forme originarie, le tecniche miste che
convergono in un equilibrio finale che ne determina una efficace resa armonica. Paiono
dei preziosi da custodire con cura, che l’artista ci dona a testimonianza della sostanza
primaria della natura.
La mostra si conclude con la sala dedicata alle opere più grafiche, dove il segno prende
coscienza e si manifesta in maniera definitiva e totale. Così ne La dov’ era, Murato dentro,
o ancora Fiore che nessuno vede la superficie rimane bianca, immacolata, il colore
sparisce, il segno diviene gesto: preciso, netto, veloce, definitivo, elegante, eterno. Il
racconto lascia il posto all’affermazione, la disillusione si palesa. Tuttavia le opere sono
pervase da una quiete solenne, il rigore del nero come unica via possibile si muove in
linee sinuose, curve che accompagnano il segno nel suo movimento finale.
Interessante osservare come Agostino Perrini abbia trasferito nelle sue opere in maniera
generosa ciò che era il suo essere uomo. Certamente carismatico, intelligente, mosso da
forti valori politici e sociali, impegnato, aperto al confronto e attivo nel panorama artistico
de suo tempo. Appassionato della vita e della poesia. Sperimentatore. Animo sensibile
capace di ricercare e leggere l’essenza delle cose, fragile e tormentato ma saldo negli
affetti della famiglia e degli amici. Le opere di Agostino Perrini in mostra, testimoniano una
poetica affine all’intento che muove il progetto di Meccaniche della Meraviglia, quello cioè
di svelare la realtà, attraverso lo sguardo dell’artista, che si sorprende e ci sorprende per
la meraviglia che si cela in ogni dove.

Mariacristina Maccarinelli

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