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Meccaniche delle Meraviglie presenta: Luca Pozzi

PORTE VERSO ALTRI MONDI.

Da poche domande Pozzi trova lo spunto per parlare e cercare di spiegare cosa ci sia alla base della sua arte, quali processi accompagnino la sua creatività, cosa voglia comunicare e suscitare in chi guarda i suoi lavori, tutto

ciò  in un vortice di analogie e similitudini che travolgono letteralmente chi ha il piacere di ascoltarlo. Spiega quanto il senso estetico e la bellezza intesa come armonia ed equilibrio contino, sì, nelle sue opere, ma che il raggiungere tali dimensioni non possa prescindere né dai gradi di complessità dei vari livelli che compongono il processo di creazione, né dalla durata temporale dell’ esecuzione. Quando gli chiedo cosa sia per lui l’arte, se una necessità di espressione interiore o la volontà di comunicare, mi spiega in che modo la sua arte sia una forma di espressività, intesa però come onda. L’onda è il flusso, e per lui fare arte è la maniera di partecipare all’onda. Un corpo devia  un’onda, le imprime una differente direzione, la indirizza verso altri corpi. Più sono i corpi, maggiori sono le deviazioni, più complesso e affascinante è il fenomeno. L’arte di Pozzi sta nella deviazione. Il processo permette all’onda di non fermarsi mai. Attraverso le forme che lui crea, l’intensità dell’onda aumenta e trova energia nuova. La forma (le sue opere), ancora, è la manifestazione di una corsa, è il testimone che ci si passa in una staffetta. Fondamentale in questo è la durata della corsa, che permette all’opera di mantenere valore nel tempo. Così come il processo creativo si sviluppa per livelli, allo stesso modo la comprensione delle sue opere avviene per livelli.

Mentre parla si ha la sensazione che il suo pensiero corra nello spazio e nel tempo alla “velocità della luce”: campi magnetici, fisica quantistica, teorie sulla gravità … concetti molto semplici ed immediati ai suoi occhi …  meno forse alla maggior parte di noi. Poi, quando lo sguardo viene attratto dall’opera posta accanto a lui, ecco che la complessità del pensiero svanisce per lasciare posto al linguaggio della semplicità più immediata, della sintesi, del silenzio che viene dall’eternità di un gesto che nasce dalla creatività dell’artista. ‘L’arte è l’espressione del pensiero più profondo nel modo più semplice’ scriveva Albert Einstein.

Collegamenti  potrebbe essere il denominatore comune delle opere esposte in questa mostra. Nelle installazioni che utilizzano i campi magnetici, spesso, troviamo collegamenti con la topologia. Si tratta infatti di connessioni di punti attraverso campi magnetici, quindi si può parlare di connessione come attrazione magnetica. In particolare, l’imponente opera che si trova nella stanza a lato del corridoio, è composta da un poligono che funge da nucleo e sui cui lati sono poste sezioni di altre piramidi, su ogni faccia si trovano dei dischi magnetici a specchio e una serie di sfere proiettate nello spazio circostante completa l’opera. L’intenzione dell’artista è quella di visualizzare un poligono in grado di esplodere e di implodere contemporaneamente. Complessità di piani, di forze, di livelli di comprensione dell’opera stessa sono insite e costanti in tutti i lavori esposti.   

Alla base delle opere che troviamo nel corridoio vi è un processo temporale che può variare dai quaranta minuti alle due ore, nel quale Luca Pozzi lavora disegnando al buio, su un supporto di pittura al fosforo, con una luce ad alta frequenza; questo processo é l’insieme di tanti livelli che possiamo cogliere guardando l’intensità della luminosità dei segni, quelli più luminosi sono gli ultimi, quelli più tenui sono i primi. Attraverso la luce, poi, la pittura si manifesta, è la pittura che trattiene la luce. Questi lavori prendono origine, nel momento della preparazione, da ricerche di fisica quantistica quasi sconosciute,  ma è importante sottolineare che il momento della creazione in cui Pozzi disegna l’opera è totalmente improvvisato. Tanti sono i disegni che ha realizzato negli ultimi anni e che fanno parte di un progetto denominato Oracol.

Inoltre, spesso, ama esporre contemporaneamente gli stessi disegni in mostre diverse, in luoghi diversi, in contesti completamente differenti. Ciò accade anche in questo caso. La copia di uno dei disegni esposti è infatti in una sua mostra in America, a Miami, proprio in questo periodo.

Da sottolineare è il perfetto equilibrio che possiamo cogliere tra le opere poste davanti alle porte di Palazzo Leonesio e l’architettura stessa degli spazi. Pozzi spiega come il naturalismo delle decorazioni alle pareti del lungo corridoio lo abbia ispirato nel ricercare e creare simmetrie con realtà altre, con gli elementi di paesaggi irreali o comunque non propri della nostra dimensione spaziale. Ci appare dunque la possibilità di cogliere una armonia nuova, osservando queste opere è come se ci aprisse le porte verso altri mondi, mettendo in relazione passato e futuro, arte e scienza, conoscibile e probabile, nella totale libertà, per ogni singolo individuo, di trovare in maniera autonoma e personale  un rimando interiore. A tal proposito l’artista parla di déjà vu in quanto ama pensare che il fruitore dell’opera, osservandola, abbia proprio la sensazione di  già visto e vissuto, ma contemporaneamente non riesca a capire l’opera fino in fondo. Motivo per il quale spesso lavora con simboli riconoscibili ma che nascondono processi molto difficili.

“… Il lavoro funziona se ciò che si capisce rappresenta un ponte verso l’ignoto. La conoscenza è un’arma a doppio taglio, se pensi di capire tutto non ti apri alle potenzialità dell’esperienza visiva, se invece non hai studiato il linguaggio, nel caso dell’arte quello della storia dell’arte, tutto sembra troppo ostico e inavvicinabile e quindi scappi a gambe levate e comunque l’informazione è perduta … esiste sempre una porta privilegiata per entrare in un opera d’arte, si tratta solo di riuscire ad includere nel lavoro più porte possibili, per poter parlare la lingua del tuo interlocutore”.  Ciò che dichiarava in una intervista fatta da Mario Margani nel 2011, introduce un altro concetto significativo: la conoscenza, in questo caso della storia dell’arte, come strumento dell’arte stessa. Talvolta i suoi lavori coinvolgono dipinti di artisti di epoche differenti. Penso agli scatti realizzati davanti ai dipinti del Veronese. La volontà di rappresentare visivamente concetti propri di altre discipline ricorda le ricerche futuriste intorno alla rappresentazione della velocità o il tentativo di inserire il movimento o la dimensione temporale all’interno dell’opera indagata dall’arte cinetica negli anni Cinquanta.

Storia dell’arte, topologia, geometria, fisica: così Pozzi assorbe i linguaggi da altre discipline e li trasferisce nelle sue opere nel tentativo di ampliare la conoscenza oltre le dimensioni di spazio e tempo, di mediare e “creare un ponte intuitivo tra contesti improbabili”. E lo fa con la consapevolezza dell’artista che ha trovato la sua strada, con l’ entusiasmo e l’incredulità, negli occhi, tipici dei giovani.

Mariacristina Maccarinelli