Le metamorfosi organiche della forma
L’ossimoro che origina il titolo “Simulacri concreti” racchiude l’essenza stessa della mostra ospitata alla Fondazione Vittorio Leonesio. Il simulacro è un’immagine, una rappresentazione esteriore non rispondente alla realtà, una parvenza, ma l’aggettivo concreto implica invece un qualcosa di reale, di tangibile, che possiamo riconoscere come oggetto. Il giovane artista siciliano Alessio Barchitta è un narratore, le sue opere sono racconti di vita contemporanea, ben radicati nel proprio tempo, che si manifestano attraverso materiali e forme eterogenee ma che restano coerenti nella sostanza. Interessante è il rapporto che Barchitta ha con il materiale, un legame molto forte, fondante: il materiale non è mai la rappresentazione della tematica ma la sua presentazione. Lui stesso dichiara che “le opere sono sempre l’affermazione di un concetto che già attraverso il materiale afferma un suo legame effettivo e affettivo con la tematica. L’opera afferma una sua posizione netta, ovvero la privazione di uno stimolo visivo che sposta lo spettatore a leggere l’oggetto da figura conosciuta e configurata, attraverso la sua estetica, a oggetto che si sottrae alle sue solite funzioni e si abilita a creare un taglio netto con la prima impressione innescando un cortocircuito che ribalta la sua più tipica lettura”. Ed è proprio ciò che accade nelle tre serie in mostra, nelle quali la metamorfosi organica si manifesta potentemente: il materiale trasforma l’oggetto protagonista dell’opera pur mantenendo la sua forma originaria. L’approccio concettuale e analitico dell’artista è accompagnato da una componente ironica che appare evidente già nei titoli delle opere. In Kick me (Calciami) la forma è quella tradizionale e riconoscibile di un pallone da calcio, ma gli esagoni che la compongono sono ricavati da vecchie piastrelle trovate tra i rifiuti della discarica o eliminate da abitazioni, cariche di storia e di vissuto, che Barchitta recupera e utilizza così da stravolgere e rendere impossibile l’originaria funzione della palla, quella cioè di essere calciata. Così come in Ricordi quando eravamo II la bandiera che si erge sull’asta sorretta da un piedistallo è composta da stracci e pezzi di tessuti di vecchie poltrone e divani cuciti su un lenzuolo bianco anch’esso carico di vita quotidiana. Questi lembi divengono bandiera del proprio oggetto originario, della storia delle persone che l’hanno utilizzato e vissuto, ma allo stesso tempo acquistano una ragion d’essere in sé e per sé. Bandiere da un lato intime, famigliari, cariche di racconti, ricordi, gioie e dolori, ma dall’ altro si ergono a simboli universali di culture, usanze e popoli diversi. Infine troviamo Nell’attesa ho dimenticato chi sono serie inedita del 2021 che invade gli spazi delle cantine. Si tratta di cuscini in gommapiuma, il materiale è stato recuperato in una discarica dove un artigiano che riparava divani lo stava smaltendo, sui quali Barchitta ha inciso a fuoco dei ritratti appartenenti alla generazione dei millennial. Sono ragazzi rappresentati in abbigliamento domestico, comodamente adagiati su poltrone inserite in un ambiente, con espressioni e atteggiamenti annoiati o rassegnati che durante i pesanti mesi di pandemia tutti noi abbiamo visto e vissuto da vicino. In questo caso la presenza umana straniata e sospesa in uno spazio limitato e costretto, si trasforma da soggetto a mero decoro dell’oggetto cuscino. L’artista dunque racconta di storie lontane nel tempo, per sigillare le radici, per dare voce ai ricordi e al vissuto, ma racconta anche di storie cariche di attualità, per denunciare le paure e le angosce che un’intera generazione sente verso un futuro incerto. La mostra mette in
relazione gli spazi della Fondazione intrisi di storia e di vita propria, con le installazioni di Barchitta dando vita ad un dialogo emozionante e ricco di contaminazioni.
Mariacristina Maccarinelli