Il Centro d’arte Santelmo a Salò
Questa mostra parla di un tempo ormai definitivamente trascorso, nelle cose d’arte: quando una galleria era una galleria, cioè un’iniziativa privata che si faceva carico della proposta, della promozione e della documentazione di autori – non necessariamente già noti – senza preoccuparsi più di tanto di questioni come il ritorno economico delle spese e in genere di quella cosa che correntemente si dice l’utile di impresa.
Non erano, quei galleristi, che marginalmente degli imprenditori. In loro prevaleva piuttosto lo scegliere di sentirsi parte viva della produzione della cultura en train de se faire, dell’offrire un affaccio sul teatro dell’arte al mondo variegatissimo delle esperienze geminali, eccentriche, comunque non identificate ancora adeguatamente da quello che, allora come oggi, si chiamava il sistema dell’arte.
Quei galleristi erano compagni di strada degli artisti, e dei critici, e dei curiosi che si affacciavano all’arte: mai controparti economiche, anzi disposti persino, talora, a operare nella consapevolezza che magari in termini di denaro il gioco non valeva la candela, ma proprio qui si potevano accendere candele che emanavano una luce vivida.
Il caso di Claudia Nastuzzo e del Centro Santelmo è stato, di quel tempo, esemplare. La galleria nasceva a Salò, centro turistico rinomato ma, per la cultura, una specie di deserto. Nasceva dalla volontà caparbia di Claudia, la quale peraltro era cresciuta respirando, in famiglia, la tutt’altro che banale aura altoartigianale della pittura di decorazione architettonica, e dalla sua voglia di farsi portatrice di un atteggiamento intimamente moderno, che implicasse un “fare ad arte” che passasse piuttosto dal cervello che dalle mani, che ponesse domande anziché limitarsi a offrire risposte confortevoli.
Aprì la galleria nel 1972, dando subito spazio a pratiche nitidamente connotate: Riccardo Guarneri, Arturo Vermi, Antonio Scaccabarozzi, Jorrit Tornquist, Sandro DeAlexandris, Dadamaino. Cioè l’esattezza astratta, l’uscita radicale dal comfort del figurare il mondo per somiglianze, l’affermazione di un possibile visivo compiutamente altro. A Salò poteva contare su un vantaggio prezioso, attrarre autori dal territorio ampio della ricerca pur non contando su forze locali che ancora erano ben al di là dal maturare.
Gilles Deleuze ha scritto che “Non c’è opera d’arte che non si rivolga a un popolo che non esiste ancora”: più prosaicamente, le attrattive del Garda rendevano possibile il germinare e il coagularsi di un “popolo” che a quell’arte voleva, aveva in animo di guardare. A Salò si incrociavano il vecchio grande maestro Vittoriano Viganò, il coltissimo Piero Cavellini, figlio d’arte implicato in molte curiosità, Attilio Forgioli, enfant du pays che a Brera era cresciuto con Claudio Olivieri e a Milano aveva edificato il suo piedistallo pittorico, e un giovane come Flaminio Gualdoni, cioè chi sta dando questa testimonianza, approdato a Gargnano per vicende amorose. Il Santelmo era l’epicentro naturale delle frequentazioni, degli stimoli, delle aperture: non a caso proprio a Salò Gualdoni e Forgioli fonderanno nel 1983 la Civica raccolta del disegno, primo nucleo collezionistico pubblico e di iniziative espositive destinato a durare negli anni, sino a oggi.
Nel frattempo Claudia si apriva, oltre che a figure primarie dell’arte tedesca e nordica come Tomas Rajlich, Winfred Gaul e il più maturo Rupprecht Geiger, al meglio della pittura analitica italiana: Claudio Olivieri, Rodolfo Aricò, Sergio Sermidi tra gli altri, aprendo inoltre a maestri storici, da Fausto Melotti a Carla Accardi, e a scultori come Giuseppe Uncini a Nanni Valentini.
Poi, dal 1977 e dalla personale di Antonio Violetta, ecco irrompere la generazione nuova sino al debutto, nel 1986, del trio Albano Morandi, Agostino Perrini e Casare Fernicola, annuncio di un tessuto di ricerche che può dirsi, con tutti i caveat del caso, locale, il quale nel Santelmo trova il suo naturale “luogo buono”.
L’attività della galleria continua ininterrotta sino al 2001, quando chiude i battenti. Ma intorno a Claudia Nastuzzo ormai si è formato un pubblico attento e avveduto. La scommessa di Claudia, di trasformare Salò da centro solo fascinoso a un riferimento importante per il contemporaneo, è vinta.