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Terra de padri, o la fenomenologia della memoria. Una tendenza ben definita nelle ricerche di alcuni artisti di oggi è quella che potremmo definire simbologia dei materiali, o addirittura simbolismo del medium. Con questi termini intendo descrivere un nuovo atteggiamento nei confronti della materia, che non la identifica come un puro uno strumento espressivo, ma che vede nella sua stessa dimensione tattile e contingente il luogo di una storia, di un senso già presente con il quale l’operazione artistica deve relazionarsi per valorizzarlo, rispettandone la poesia.

Scintille d’Arte presenta: Angelica Consoli

Terra de padri, o la fenomenologia della memoria. Una tendenza ben definita nelle ricerche di alcuni artisti di oggi è quella che potremmo definire simbologia dei materiali, o addirittura simbolismo del medium. Con questi termini intendo descrivere un nuovo atteggiamento nei confronti della materia, che non la identifica come un puro uno strumento espressivo, ma che vede nella sua stessa dimensione tattile e contingente il luogo di una storia, di un senso già presente con il quale l’operazione artistica deve relazionarsi per valorizzarlo, rispettandone la poesia. Il lavoro di Angelica Consoli si colloca lungo questa linea, addirittura contribuisce a tracciarla e a rivelarne le possibilità creative. La paraffina – materia sospesa tra il visibile e l’invisibile, il naturale e l’artificiale – è adoperata come sede del ricordo, di aneddoti del passato, di forme e storie, oggetti e sostanze organiche che testimoniano un vissuto: il suo aspetto superficiale conferisce a queste immagini e a queste cose un’aura di antichità remota, ma al tempo stesso incoraggia l’osservatore a rapportarsi a questi ricordi, che sono dell’artista ma, attraverso il filtro semi-opaco del nuovo medium, diventano un po’ anche suoi. Come la memoria, la paraffina fissa ma allontana, conserva ma modifica: la crosta cerosa che si impossessa di queste immagini attribuisce loro la dignità del ricordo perenne, ma al tempo stesso rende impossibile esperirle nella loro vera natura. Come in una bella fotografia, insomma, la garanzia del perpetuarsi dell’immagine (“immortalata”, si suole dire) va di pari passo con l’inevitabilità della mediazione, e quindi dell’alterazione dell’esperienza originale. In Terra de Padri, gli elementi consueti utilizzati da Angelica Consoli –
fotografie, carte, medagliette – vanno a costituire una sorta di archivio legato al tema della “patria”, intesa non solo come sede dell’appartenenza nazionale, ma più ampiamente come insieme di usanze, superstizioni, miti, leggende, rappresentazioni che fondano il radicamento del soggetto in una specificità geografica e culturale. Tra queste rappresentazioni vi è anche la più basilare forma di visualizzazione del luogo, la cartina, che filtrata dallo strato di paraffina sembra far affondare il riconoscimento della propria “casa” in una dimensione di memoria, come se la collocazione di ciascuno non fosse che un punto di partenza seppellito nella stratificazione dei ricordi. Anche il formato di questo nuovo medium è scelto con un criterio di evocazione e narrazione: la cornice di ciascuna mappa, infatti, è costituita da un tombolo o da un setaccio da cucina, ovvero  dagli strumenti di lavoro delle nonne, prime veicolatrici della mitologia familiare su cui si fonda la nostra appartenenza culturale. La forza suggestiva di questi elementi si accompagna alle forme di installazione tipiche dell’artista, come le sfere di paraffina (due metà accostate) che diventano i grani di enormi rosari – emblemi di una devozione intima e radicata nei luoghi – o le “icone” da cui partono altri rosari, contenenti ciascuna un bersaglio-coccarda: simboli convenzionali, di per sé privi di qualsiasi lettura “seconda”, che vengono tuttavia resi magici dallo sprofondamento nella memoria della paraffina, e riscattati dalla loro banalità grazie all’inserimento in un contesto di preghiera. Proprio la dimensione della preghiera, per concludere, circoscrive la particolare pratica installativa di Angelica Consoli. Pieni di stimoli visuali, i suoi lavori non si limitano però mai alla fruizione visiva: invitano all’uso del tatto, naturalmente, ma soprattutto vivono nell’aura, nello spazio vitale che si crea attorno a loro, come nel caso dei “libri di preghiere”. E non esitano a chiamare in causa altri sensi ancora, come per le erbe aromatiche associate all’allestimento dei lavori a parete. Come la preghiera, l’opera di questa giovane artista va a produrre un’esperienza totale, in cui il corpo si destreggia tra vari sensi per ritrovare la profondità, fisica e spirituale al contempo, del ricordo.

Kevin McManus