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Alla muta cenere io canto 

Alla muta cenere io canto si propone come un omaggio alla memoria di chi ci ha lasciato, costituendo allo stesso tempo un monito sulla caducità dell’esistenza e un tributo alla sua magnificenza. La mostra assume la forma di una riflessione lucida e disincantata, ma non per questo priva di speranza nel futuro, all’interno della quale tradizione letteraria e territorio giocano un ruolo di rilievo. Il percorso espositivo si configura, infatti, come un itinerario nei secoli, che dai carmina del poeta latino Catullo arriva fino alle riflessioni sulla condizione umana della filosofa Hannah Arendt, passando attraverso la potente ritualità del vino e la bellezza senza tempo del nostro lago. Un viaggio dalla vita alla morte e ritorno. All’origine del progetto, il Carme 101 di Catullo, il cui verso «e parlare invano alle tue ceneri mute» – poi ripreso anche dal Foscolo nel sonetto In morte del fratello Giovanni – ha ispirato il titolo della mostra. Ed è proprio a partire da quelle ceneri che Camilla Marinoni ha sviluppato la sua narrazione: dalla commemorazione di chi non c’è più, dal gesto del rendere ossequio alla memoria dei nostri defunti e, al contempo, dalla volontà di ricordarsi e far ricordare cosa significhi vivere. Il percorso inizia con una finestra e i suoni delle onde del Garda, che si staglia in lontananza. Vicino alle orecchie ma remoto allo sguardo, il lago è perfetta metafora del nostro rapporto con la morte: sappiamo che esiste, lo osserviamo a distanza, ma esso resta pur sempre una presenza latente, della quale nella nostra quotidianità finiamo per dimenticarci. Come il suono del lago di catulliana memoria si mescola alle parole sussurrate da Hannah Arendt, così vita e morte vengono mescolate insieme, nel tentativo di creare un istante di silenzio e riflessione sul senso dell’esistenza. Nell’opera site-specific All’ombra dei cipressi alcuni calici di vino divengono protagonisti di una performance silente che si rifà alle offerte funerarie degli antichi Romani; durante la coena novendialis e in occasione delle inferiae era, infatti, usanza portare sulle tombe, oltre a fiori, miele e latte, anche del vino, in dono alle anime dei defunti. Riti antichi, dei quali permane ancora oggi la tradizione che collega alle celebrazioni funebri l’elemento floreale, proposto simbolicamente dall’artista all’interno della mostra nella forma di piccole sculture in porcellana. La fissità dei fiori in ceramica, capaci di durare per l’eternità, viene così contrapposta alla loro precaria e transitoria versione vivente. Proprio come i fiori freschi sono obbligati ad appassire, allo stesso modo il vino versato nei calici è destinato a evaporare nel giro di alcuni giorni, segnando l’inesorabile trascorrere del tempo. L’installazione Se tornassi indietro non vorrei nemmeno nascere ci riporta, con uno stacco repentino, ai giorni nostri. L’opera costituisce l’esito di una serie di laboratori, incentrati sul tema dell’elaborazione del lutto causato dalla pandemia, che l’artista ha tenuto in collaborazione con la GAMeC di Bergamo durante gli scorsi mesi. In questo caso il rito dell’ultimo saluto viene negato e la commemorazione finisce per trasformarsi in un urlo di dolore: la morte è improvvisa come uno strappo, una lacerazione profonda in cui ciascuno si aggrappa ai ricordi che ha della persona amata. Ricordi destinati inevitabilmente a mutare, affievolirsi nel tempo e, in alcuni casi, a scomparire. Il percorso si conclude con Nati per incominciare, opera video che dal buio del luogo dove è collocata ci riporta alla luce della speranza. In essa l’artista, attraverso le parole di Hannah Arendt, intende ricordarci ancora una volta che la morte, seppur presenza costante nella nostra vita, non può limitare il nostro esistere, ma anzi viene vinta con il nostro agire.
Secondo le parole di Camilla Marinoni:

«La nostra mortale condizione viene alleviata dal nostro incessante voler fare. Solo facendo ci possiamo sentire vivi, solo creando e lasciando qualcosa che “rimane” possiamo vincere la morte o affrontarla in modo differente. L’arte per me è proprio questo: un agire continuo e una volontà determinante e testarda nel voler vincere la morte e restare immortale»

Lidia Pedron 

Photo Camilla Marinoni